domenica 20 gennaio 2013

 RACCOLTA DI STUDI EPIDEMIOLOGICI SULLA  NUTRIZIONE VEGETARIANA E VEGANA A   
CONFRONTO  CON QUELLA ONNIVERA

1)
(Karolinska Institutet di Stoccolma - Marzo 2008) - Abolire la carne, le uova, il pesce e i latticini: in altre parole scegliere la dieta vegana per proteggersi da ictus e problemi cardiaci, soprattutto se si soffre di artrite reumatoide. Lo ipotizza una ricerca svedese pubblicata sulla rivista scientifica Arthritis Research and Therapy: i ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno chiesto a 38 persone in buona salute di seguire un regime alimentare di tipo vegano privo di glutine e ad altri 28 volontari di seguire una semplice dieta che prevedeva una riduzione della quantità di grassi saturi e una preferenza di prodotti integrali rispetto a quelli interi

In una dieta vegana, l’apporto quotidiano di energia è costituito per il 10% dalle proteine, per il 60% dai carboidrati e per il 30% dai grassi con una buona quantità di noci, granoturco, frutta, verdura e latte di sesamo per garantire all’organismo la necessaria dose di calcio. Il risultato dell’esperimento, che è durato dodici mesi, ha dimostrato che la dieta vegana è efficace nel ridurre il livello di colesterolo complessivo e di colesterolo cattivo ed è, inoltre, in grado di contribuire a perdere peso e raggiungere un più ottimale indice di massa corporea. Un risultato davvero interessante che, secondo i ricercatori svedesi, può rappresentare un utile suggerimento per chi soffre di artrite reumatoide (circa venti milioni di persone nel mondo), una patologia autoimmune che provoca infiammazioni che possono compromettere la salute della arterie e aumentare il rischio di eventi cardiovascolari.

Johan Frostegard, a capo dell’equipe di studio, ha spiegato che già precedenti ricerche avevano individuato nel regime alimentare vegano la dieta migliore per le persone con artrite reumatoide: “il nostro studio ha dimostrato che la dieta vegana riduce la pressione, abbassa i livelli di colesterolo e l’indice di massa corporea nonché limita l’incidenza di disturbi cardiovascolari”.

FONTE:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11600749
LINK:
http://ki.se/ki/jsp/polopoly.jsp?d=130&a=52276&l=en&newsdep=130

2)
RIDOTTA INCIDENZA DI TUMORI TRA I VEGAN
Tra i 69.120 Avventisti che vanno a comporre lo Adventist Health Study 2 (uno dei più grandi studi di popolazione di sempre), dopo aver distinto e comparato onnivori, latto-ovo-vegetariani, "pesco-vegetariani", "semi-vegetariani" e vegan, questi ultimi sono risultati avere una ridotta incidenza complessiva di tutti i tipi di tumori per entrambi i sessi, del 16% inferiore rispetto agli onnivori, indipendentemente dal genere sessuale, in particolare per i tumori femminili (ginecologici e della mammella, del 34% inferiore). Questo anche dopo la miriade di aggiustamenti statistici prodotti sui dati (etnia, storia familiare di tumori, livello educativo, abitudini di fumo, consumo di alcool, età al menarca, gravidanze, allattamento, uso di contracettivi orali, terapia ormonale sostitutiva e menopausa).

Questi risultati sono di enorme rilevanza per la salute pubblica internazionale se consideriamo che gli Avventisti (indipendentemente dal modello alimentare seguito) sono già di per sè un gruppo sociale a basso rischio di tumori rispetto alla popolazione generale, che gli onnivori seguiti nello studio avevano anche un basso consumo di carne rispetto alla popolazione generale, e che la pubblicazione arriva a solo 4 anni dall'inizio dello studio, quando per rilevare a fondo l'incidenza dei tumori sono spesso necessari anche decenni prima di avere campioni significativi.
La protezione per i tumori della dieta vegan va ad aggiungersi a quella per obesità, diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari, diverticolite e cataratta già emersa negli ultimi anni.

L'articolo scientifico è stato curato da un team di ricercatori della Loma Linda University, e pubblicato su Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention, rivista dell'American Association for Cancer Research, co-sponsorizzata dall'American Society of Preventive Oncology. I finanziamenti sono arrivati anche da alcune delle più importanti istituzioni al mondo per la ricerca in ambito biomedico-nutrizionale (National Institutes of Health, U.S. Department of Agriculture e, soprattutto, World Cancer Research Fund), che considerano questo studio come parte dei loro stessi progetti di ricerca.

FONTE:
Tantamango-Bartley Y, Jaceldo-Siegl K, Fan J, Fraser G, Vegetarian diets and the incidence of cancer in a low-risk population, Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2012 Nov 20.
LINK:
http://www.mediafire.com/view/?gnriadx236h2fmh

3)
La rivista British Medical Journal nel 1994 ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dalla dottoressa Margaret Thorogood della Scuola di Igiene e Medicina Tropicale di Londra, su 5.000 consumatori abituali di carne, il cui stato di salute è stato messo a confronto con quello di 6.000 vegetariani. Si è constatato che nel gruppo dei vegetariani esiste una considerevole minore possibilità di morire di cancro, fino al 40% in meno.Studi precedenti hanno suggerito una diminuzione della mortalità da cancro e cardiopatia ischemica nei vegetariani, ma i risultati avrebbero potuto essere spiegati con livelli ridotti di diversi fattori di rischio tra i vegetariani.In questo studio la riduzione del 40% della mortalità per cancro nei non-mangiatori di carne rispetto ai mangiatori di carne non poteva essere spiegato da differenze di abitudine al fumo, dall'obesità, e dallo stato socio-economico.

FONTE:
M Thorogood, J Mann, P Appleby, K McPherson, Risk of death from cancer and ischaemic heart disease in meat and non-meat eaters, BMJ 1994
LINK:
http://www.bmj.com/content/308/6945/1667

4)
Nel 1985 il dott. Esselstyn ottenne i risultati più spettacolari mai registrati nella terapia delle cardiopatie. Egli iniziò la sua ricerca con lo scopo primario di portare il colesterolo endogeno dei pazienti al di sotto della soglia dei 150 mg/dl. La dieta che i pazienti seguivano era priva di tutti i grassi aggiunti e di quasi tutti i prodotti di origine animale. "I partecipanti dovevano evitare gli oli, la carne, il pesce, il pollame e i latticini, eccetto il latte scremato e lo yogurt magro". Dopo circa cinque anni dall'avvio del programma vennero tolti anche questi ultimi due alimenti.

Cinque dei suoi pazienti abbandonarono il programma entro i primi due anni; ne rimasero diciotto, tutti gravemente cardiopatici e con numerosi eventi coronarici alle spalle (49, per l'esattezza, compresi angina, infarti, ictus, angioplastica e interventi di bypass).All'inizio dell'indagine, i loro livelli medi di colesterolo erano pari a 246 mg/dl. Nel corso dello studio, il valore medio scese a 132 mg/dl, ben al di sotto dell'obiettivo iniziale di 150 mg/dl.Negli undici anni successivi, fra i diciotto pazienti che seguivano la dieta ci fu per l'esattezza UN evento coronarico. Quell'unico evento colpì un paziente che per due anni aveva abbandonato la dieta: in seguito all'interruzione aveva ricominciato ad accusare angina e aveva successivamente ripreso una sana dieta a base di cibi di origine vegetale, eliminando così l'angina e senza più accusare altri eventi coronarici.La patologia di questi pazienti non era solo stata arrestata, ma se ne era anche ottenuta una regressione. Il 70% dei pazienti del dott. Esselstyn aveva potuto vedere la riapertura delle proprie arterie intasate.E i cinque pazienti che avevano abbandonato il programma dietetico per riprendere la terapia standard? entro il 1995 questi cinque soggetti erano stati vittime di dieci nuovi eventi coronarici.
In base ai dati del 2003, a diciassette anni dall'inizio dello studio, tutti i pazienti a dieta tranne uno sono ancora vivi, prossimi a inoltrarsi nel loro settimo e ottavo decennio di vita.

Riassumendo:49 eventi coronarici prima della dieta a base di cibi vegetali
0 eventi coronarici per quei pazienti che avevano aderito alla dieta

FONTE:
Esselstyn CB Jr, Ellis SG, Medendorp SV, Crowe TD., A strategy to arrest and reverse coronary artery disease: a 5-year longitudinal study of a single physician's practice., J Fam Pract. 1995 Dec;41(6):560-8.
LINK:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7500065
http://www.heartattackproof.com/morethan01_intro.htm

5)
L'Oxford Vegetarian Study è uno studio a lungo termine e su scala nazionale, concernente lo stato di salute di 6000 persone che non consumano carne (soprattutto vegetariani ma anche qualche consumatore di pesce) e di 5000 persone che ne consumano, usate come gruppo di controllo.I livelli di colesterolo totale (CT) e di colesterolo-LDL (LDL-CT) risultarono entrambi significativamente inferiori nei vegani rispetto ai consumatori di carne, mentre i vegetariani e i consumatori di pesce avevano valori intermedi e tra loro simili. Le differenze suggerivano che l'incidenza di coronaropatia (arteriosclerosi coronarica, NdT) può essere inferiore del 24% nei vegetariani e inferiore del 57% nei vegani rispetto ai consumatori di carne.I risultati mostrano che chi non consuma carne ha un minore tasso di mortalità per tutte le cause di morte combinate, cardiopatia ischemica e tutti i tipi di tumori combinati.

Il rapporto complessivo di appendicectomie d'urgenza suggerisce che il rischio dei vegetariani di doversi sottoporre a questa operazione è di circa il 50% inferiore rispetto ai non vegetariani.

Il risultato più impressionante ottenuto dall'analisi dei dati è la correlazione positiva, altamente significativa, tra il consumo di grassi animali e la mortalità per cardiopatia ischemica, essendo essa circa tre volte maggiore tra i partecipanti appartenenti al gruppo caratterizzato dal maggior consumo di grassi animali totali, grassi animali saturi e colesterolo della dieta rispetto al gruppo con minore consumo. Anche il consumo di uova e formaggio è risultato positivamente associato con la mortalità per cardiopatia ischemica, ma non è stato notato nessun effetto protettivo per le fibre, il pesce e l'alcool, come si sarebbe potuto prevedere dai risultati di altri studi.

L'indice di massa corporea media era minore tra i non consumatori di carne rispetto ai carnivori in ogni classe di età, sia per le donne che per gli uomini.Si è pertanto concluso che chi non consuma carne è più magro che chi ne consuma e che questo può essere in parte dovuto al maggiore consumo di fibre, al minore consumo di grassi animali e, solo negli uomini, ad un minore consumo di alcool.

FONTI:
- M Thorogood, R Carter, L Benfield, K McPherson, and J I Mann, Plasma lipids and lipoprotein cholesterol concentrations in people with different diets in Britain., Br Med J (Clin Res Ed). 1987 August 8; 295(6594): 351–353.
- M Thorogood, L Roe, K McPherson, and J Mann, Dietary intake and plasma lipid levels: lessons from a study of the diet of health conscious groups., BMJ. 1990 May 19; 300(6735): 1297–1301.
- M. Thorogood, J. Mann, P. Appleby, and K. McPherson, Risk of death from cancer and ischaemic heart disease in meat and non-meat eaters, BMJ. 1994 June 25; 308(6945): 1667–1670.
- Appleby P, Thorogood M, McPherson K, Mann J., Emergency appendicectomy and meat consumption in the UK, J Epidemiol Community Health. 1995 Dec;49(6):594-6.
- Mann JI, Appleby PN, Key TJ, Thorogood M, Dietary determinants of ischaemic heart disease in health conscious individuals, Heart. 1997 Nov;78(5):450-5.
- Appleby PN, Thorogood M, Mann JI, Key TJ, Low body mass index in non-meat eaters: the possible roles of animal fat, dietary fibre and alcohol, Int J Obes Relat Metab Disord. 1998 May;22(5):454-60.
LINK:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1247209/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1663050/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2540657/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8596094
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9415002
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9622343

6)
L'obiettivo di questo studio, basato su 6 studi di coorte prospettici, è stato quello di esaminare se un consumo di carne molto basso (inferiore al settimanale) contribuisca a una durata di vita più lunga.Si conclude che un modello di stile di vita che comprenda un consumo di carne molto basso è associato ad una maggiore longevità.

FONTE:
Pramil N Singh, Joan Sabaté, and Gary E Fraser, Does low meat consumption increase life expectancy in humans? Am J Clin Nutr September 2003vol. 78 no. 3 526S-532S
LINK:
http://ajcn.nutrition.org/content/78/3/526S.abstract

7)
L’alimentazione vegetariana è associata ad una ridotta mortalità, oltre che per cardiopatia ischemica e malattie cerebro-vascolari, anche per i tumori. Le statistiche di un monumentale lavoroscientifico inglese del 1996, in cui sono stati raccolti dati per abitudini e mortalità di 11.000 vegetariani seguiti per 17 anni, evidenziano che nelle donne vegetariane vi è una riduzione del 44% del rischio di carcinoma mammario rispetto alla mortalità della popolazione generale. Più precisamente, negli uomini è ridotta del 60% la mortalità per cancro dello stomaco, del colon-retto, del retto, dei bronchi e dei polmoni; 65% di mortalità in meno per diabete mellito; 25% in meno per miocardia ischemica, malattie del sistema cardiocircolatorio, dell’apparato digerente, genito-urinario e respiratorio. Anche nelle donne è nettamente ridotta la mortalità per carcinomi bronco-polmonari: 60% in meno per le donne non fumatrici, 35% per carcinoma dello stomaco; l’80% in meno per il diabete mellito, oltre che per malattie dell’apparato respiratorio, digerente, genito-urinario e del sistema circolatorio.

FONTE:
T. J. Key, M. Thorogood, P. N. Appleby, and M. L. Burr, Dietary habits and mortality in 11,000 vegetarians and health conscious people: results of a 17 year follow up., BMJ. 1996 September 28; 313(7060): 775–779.
LINK:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2352199/ (disponibile il download dell'articolo completo)

8)
Il Progetto Cina (China Project) è uno dei più vasti studi epidemiologici mai compiuti al mondo e la più completa indagine sul rapporto tra alimentazione, condizioni ambientali, tradizioni sociali e malattie mai intrapresa in Cina[1], definito dal New York Times « il Grand Prix dell'epidemiologia[2]».
Lo studio è stato diviso in due fasi distinte e separate: una prima indagine ha avuto inizio nel 1983, una seconda indagine è stata intrapresa nel 1989. La disponibilità di dati affidabili su malattia e mortalità forniti dal governo cinese e la presenza di una popolazione stabile con caratteristiche alimentari molto diverse ha reso la Cina un laboratorio vivente ideale per studiare l’impatto di diversi tipi di alimentazione su malattia e mortalità.
I ricercatori del progetto hanno osservato come malattia coronarica, ictus e ipertensione,cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi, principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, in Cina, dove il consumo di prodotti animali era fino a poco tempo fa molto scarso, avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali, a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. L'evidenza scientifica emersa dal Progetto Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute.
Nel 2005 è stato pubblicato The China Study, basato sui risultati del Progetto Cina, nel quale l'autore, il dottor T. Colin Campbell, responsabile della ricerca e direttore USA del Progetto Cina, esamina la relazione tra cibo e malattie cardiovascolari, cancro e diabete e la possibilità di ridurre il rischio di contrarre queste patologie o arrestare e invertire un loro sviluppo in corso attraverso l'alimentazione.
Il Progetto Cina
Il Progetto Cina è il risultato della collaborazione tra la Cornell University, l’Accademia cinese di Medicina preventiva, l’Accademia cinese di Scienze mediche e l’Università di Oxford. Una prima indagine ha avuto inizio nel 1983 raccogliendo 367 tipi di dati sulla vita e la morte di 6500 adulti sparsi in 138 villaggi e 65 contee, con una quantità di dati raccolti sufficiente a riempire un volume di 920 pagine. Una seconda indagine è stata intrapresa nel 1989 raccogliendo più di 1000 tipi di dati su 10200 adulti e relative famiglie, attraverso 170 villaggi della Cina rurale e di Taiwan: i soggetti sono stati intervistati e studiati approfonditamente, annotando ogni porzione di cibo ingerito e raccogliendo campioni di sangue e urina[3].
La Cina: un laboratorio umano ideale
La Cina ha rappresentato un'occasione unica per studiare le connessioni dell'alimentazione e dello stile di vita con malattie e mortalità. Il consumo dicarne nella dieta della popolazione rurale cinese era, a differenza di oggi, molto ridotto, limitato per lo più a maiale e pollo solo occasionalmente; la popolazione cinese è abbastanza stabile, la maggior parte delle persone passa tutta la vita nella stessa zona alimentandosi con prodotti locali; inoltre l'alimentazione varia considerevolmente da regione a regione, per esempio gli abitanti della sponda nord del fiume Yangtze mangiano pane cotto al vapore e patate dolci, mentre gli abitanti della sponda sud basano la propria dieta sul riso[4]. Gli archivi su malattia e mortalità del governo cinese, con raccolti dati su 800 milioni di persone residenti in circa 2400 paesi, hanno dimostrato che i tassi di mortalità per la stessa malattia potevano variare anche di centinaia di volte da regione a regione[5]. La disponibilità di questi dati affidabili e la presenza di una popolazione stabile con caratteristiche alimentari molto diverse (dalle vaste aree tipicamente rurali alle regioni industrializzate di Nanjing, Beijing e Shanghai) ha reso la Cina un laboratorio vivente ideale per studiare l’impatto di diversi tipi di alimentazione su malattia e mortalità.
Principali risultati del Progetto Cina
I ricercatori del progetto hanno definito polmonite, tubercolosi, malattie infettive, parassitosi, eclampsia, cancro dello stomaco e del fegato comeMalattie della povertà, mentre malattia coronarica, ictus e ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi sono state definite Malattie dell'abbondanza. Queste ultime sono le principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, mentre lo studio ha rilevato che in Cina avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali (grassi e proteinein primis), a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. Le malattie dell'abbondanza risultarono infatti essere più diffuse tra la popolazione cinese benestante residente nei pressi delle grandi città come Nanjing, Beijing e Shanghai, che seguiva una dieta ricca di cibi animali e povera di cibi vegetali. L'assunzione di anche solo piccole quantità di prodotti animali risultò in grado di aumentare significativamente i rischi di malattia coronarica, cancro e diabete, mentre è stato osservato che maggiore era la percentuale di prodotti vegetali assunti, minore era il rischio di essere soggetti alle stesse malattie[6].
L'evidenza scientifica emersa dal Progetto Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute: i dati emersi dallo studio hanno infatti evidenziato come la dieta della maggior parte dei cinesi che vivevano in zone rurali comprendeva solo 4 grammi di proteine animali al giorno, contro i 71 grammi della dieta occidentale[7]. Il Progetto Cina permette anche di comprendere come l'influenza dell'alimentazione occidentale potrà incidere sulla salute della popolazione cinese[8]. Al termine dello studio, il dottor T. Colin Campbell, responsabile della ricerca e direttore USA del Progetto Cina, e i suoi colleghi cinesi, hanno avvisato i responsabili delle politiche della Cina e la Banca Mondiale di non incoraggiare la crescita dell’industria del bestiame[8].
Obesità
Con il Progetto Cina si è scoperto che il tipo di cibo assunto ha un'influenza sull'obesità maggiore rispetto al numero di calorie assunte. È stato infatti rilevato che i cinesi studiati assumevano mediamente 270 Kcal al giorno in più rispetto agli statunitensi, ma mentre negli Stati Uniti l'obesità è molto diffusa, in Cina questa patologia aveva un'incidenza molto bassa, e l'esercizio fisico può spiegare solo in parte questa apparente contraddizione. Poiché la dieta della popolazione cinese studiata comprendeva il triplo dei carboidrati e solo il 30% dei grassi assunti dagli statunitensi, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che i grassi vengano immagazzinati con più facilità dall'organismo, mentre potrebbe essere necessario bruciare un maggior numero di calorie derivanti da amidi per la produzione di energia e calore. Secondo altre ipotesi, i grassi potrebbero contenere non 9 ma 11 calorie per grammo[9].
Colesterolemia e malattie cardiovascolari
È stato osservato che il livello di colesterolo nel sangue (valore direttamente proporzionale al rischio di contrarre malattie cardiovascolari) nei cinesi era considerevolmente inferiore rispetto a quello degli statunitensi, tanto che il valore sopra la norma per i primi corrispondeva al valore più basso per i secondi. Lo studio ha rilevato che la differenza tra i livelli di colesterolo nel sangue è strettamente correlata al consumo di carne (sia rossa che bianca),latticini e uova, fonti di colesterolo e grassi saturi[10]. Il Progetto Cina ha inoltre dimostrato come la carne magra sia dannosa tanto quanto quella grassa nei confronti della colesterolemia[11]. Il confronto dei dati emersi dallo studio con le statistiche degli altri paesi ha inoltre evidenziato che in Cina il rischio di malattia coronarica per gli uomini sotto i 65 anni era 17 volte più basso che negli Stati Uniti[5].
Cancro
Tra i risultati più importanti del Progetto Cina è emersa la stretta associazione tra cibi di origine animale e cancro. È stato rilevato che nei villaggi con diete ricche di carne l'incidenza di cancro era molto più elevata rispetto ai villaggi con diete povere di carne[12].
Cancro della mammella
Il confronto con i dati di altri paesi ha evidenziato nelle donne cinesi una morte per cancro della mammella 5 volte inferiore rispetto alle donne statunitensi[5]. Dal Progetto Cina è emerso come le morti per cancro della mammella siano associate ad elevate assunzioni di grassi e prodotti animali, a elevati livelli di colesterolo, estrogeni e testosterone nel sangue e a menarca precoce e menopausa tardiva. I ricercatori hanno inoltre osservato come l'aggiunta di anche piccole quantità di latte, carne e grassi animali nella dieta tradizionale cinese poteva far aumentare il livello di estrogeni e altri ormoni sessuali potenzialmente nocivi. Inoltre hanno rilevato che le donne cinesi di età compresa tra i 35 e i sessant'anni avevano livelli di estrogeni più bassi rispetto alle donne britanniche e livelli più alti di proteine protettive in grado di modificare il comportamento degli estrogeni nel sangue rendendoli significativamente meno attivi nella stimolazione del cancro della mammella. Lo studio ha anche mostrato che rispetto alle donne cinesi studiate, nelle donne statunitensi il ciclo mestruale ha una durata superiore di 8-10 anni, un periodo di ulteriori ondate ormonali la cui influenza si traduce in un maggior rischio di cancro della mammella. I risultati del Progetto Cina hanno anche confermato e rafforzato l'ipotesi secondo cui diete ricche di grassi, calorie e proteine animali possono accelerare la comparsa delle mestruazioni, determinando quindi un ciclo mestruale di maggiore durata[13].
Cancro del colon
Il Progetto Cina ha confermato la relazione tra cancro del colon, bassa assunzione di fibre ed elevati introiti di grassi. I bassi tassi di incidenza di cancro del colon in Cina durante lo studio sostengono fortemente l’ipotesi che le fibre alimentari giochino un ruolo protettivo in questa malattia. L'osservazione nella popolazione cinese ha infatti evidenziato un'assunzione tripla di fibre da cereali integrali, legumi e verdure rispetto agli occidentali: questo determina un aumento della produzione di feci e un più rapido transito lungo il tratto digestivo, che può quindi compiersi in circa 24 ore riducendo drasticamente il tempo durante il quale la superficie intestinale si può trovare esposta ai carcinogeni presenti nei cibi. Inoltre le feci, molto più morbide e abbondanti, diluiscono gli acidi biliari, potenziali promotori del cancro. Il Progetto Cina ha confermato anche che diete scarse di fibre rallentano il passaggio del cibo attraverso il tubo digerente, così che spesso possono essere necessarie circa 100 ore tra il momento dell’ingestione e quello dell’eliminazione del cibo, mentre diete ricche di grassi aumentano la produzione di bile, che può subire trasformazioni chimiche e diventare carcinogena[14]. I ricercatori hanno anche osservato come nella popolazione cinese bassi livelli di colesterolo determinavano anche una mortalità per cancro del colon chiaramente inferiore[10].
Cancro del fegato
Per lungo tempo si è creduto che il principale fattore responsabile dell'alta incidenza di cancro del fegato nei paesi in via di sviluppo fosse rappresentato dalle aflatossine contenute nei cereali e nei legumi guasti, tuttavia il Progetto Cina non ha rilevato alcuna correlazione che confermasse questa ipotesi. Si è invece osservato che la predisposizione a sviluppare cancro del fegato era determinata dall'infezione cronica di epatite virale di tipo B (60 volte più diffusa in Cina durante lo studio che in Nord America) e da elevati livelli di colesterolo. Lo studio suggerisce dunque che questo tipo di cancro possa non essere una patologia di origine virale-chimica come si pensava in precedenza, ma piuttosto che possa dipendere da cause di tipo virale-alimentare ed essere trattata con un'alimentazione a base vegetale povera di grassi[15].
Cancro dello stomaco
È stato osservato che in Cina l'incidenza di cancro dello stomaco era molto alta, a differenza del Nord America dove è infrequente. Il cancro dello stomaco è spesso correlato a ulcere gastriche, il cui responsabile principale non è lo stress cronico, come si credeva in passato, bensì si suppone che sia il batterio Helicobacter pylori, così come suggerisce il Progetto Cina. L'infezione cronica da Helicobacter pylori era infatti molto frequente in Cina, poiché a causa della scarsa diffusione di frigoriferi la maggior parte delle persone conservava il cibo tramite fermentazione o salatura, processi che non sempre venivano condotti in condizioni controllate, favorendo così la contaminazione batterica. Il Progetto Cina ha tuttavia suggerito che un'alta assunzione di cibi vegetali sia protettiva contro il cancro dello stomaco[16], in particolare è stato osservato che quanto più l'assunzione di vitamina C ebeta carotene era alta tanto più bassa era l'incidenza di cancro dello stomaco[17].
Cancro del polmone
A seguito della propaganda aggressiva delle industrie del tabacco in accordo con i ministeri cinesi dell’agricoltura e dell’economia, la Cina è diventata il paese con più fumatori al mondo. Con il Progetto Cina si è stimato che di tutti i cinesi attualmente in vita, almeno 50 milioni moriranno per cancro al polmone[18].
Osteoporosi
Anche se frequentemente viene raccomandata una consistente assunzione di calcio derivante da prodotti a base di latte per prevenire la fragilità delle ossa, una statura ridotta e le fratture osteoporotiche, i dati del Progetto Cina smentiscono questa posizione. Il consumo di latticini da parte dei cinesi era molto scarso o nullo, essi assumevano quantità di calcio relativamente basse, ottenuto per lo più da vegetali a foglia verde, legumi e cereali, tuttavia in Cina l'osteoporosi aveva un'incidenza molto bassa (per esempio il tasso di prevalenza delle fratture all'anca era pari al 19% di quello degli Stati Uniti). I dati emersi dal progetto Cina indicano che il fabbisogno di calcio è molto inferiore rispetto a quello comunemente raccomandato e che è possibile assumerlo in quantità adeguate dai cibi vegetali, mentre sarebbe necessario ridurre gli introiti di proteine animali, responsabili delle perdite di calcio dalle ossa[19].
Anemia da carenza di ferro
Il consumo di carne è normalmente consigliato per garantire adeguati livelli di ferro e quindi prevenire l'anemia, tuttavia i risultati del Progetto Cina contraddicono anche questa posizione. È stato infatti rilevato che benché i cinesi consumassero pochissima carne, i loro livelli di ferro erano nella norma e l'anemia da carenza di ferro aveva un'incidenza molto bassa. È stato osservato che il cinese adulto medio assumeva quantitativi di ferro doppi rispetto agli statunitensi, quasi del tutto derivante da cibi vegetali, il ferro contenuto nei cibi vegetali è di tipo non-eme, il cui assorbimento è favorito dall'assunzione di vitamina C, abbondante nella dieta cinese. I ricercatori del Progetto Cina hanno dunque concluso che mangiare carne non è necessario per la prevenzione dell'anemia da carenza di ferro. Al contrario, un'attenta revisione dei dati emersi dallo studio suggerisce che eccessive assunzioni di ferro, in particolare se di derivazione animale, possono favorire gli effetti dannosi dei radicali liberi e il rischio di malattia coronarica[20].
Sindrome premestruale e sintomi da menopausa
Dal Progetto Cina è emerso che le donne cinesi riportavano sintomi di sindrome premestruale e sintomi legati alla menopausa, come le vampate di calore, in misura considerevolmente ridotta rispetto alle donne occidentali. I ricercatori dello studio hanno suggerito che il motivo di questa differenza sia da individuare nei livelli di estrogeni, più bassi tra le donne cinesi; gli estrogeni esogeni contenuti in carne e latticini possono inoltre aumentare i sintomi della sindrome premestruale, mentre diete ricche di vegetali assicurano alte assunzioni di magnesio, vitamina B6 e fitoestrogeni, che sembra siano in grado di ridurre i sintomi[21].

FONTI:
  1. China: a living lab for epidemiology, Science, 4 May 1990:Vol. 248 no. 4955 pp. 553-555.
  2. Brody, Jane E., Huge Study Of Diet Indicts Fat And Meat, The New York Times, 8 maggio 1990
  3. (EN) The China Project, Data Collection, pages 6-7
  4. (EN) The China Project, Stable Population and Regional Diets, page 5
  5. a b c (EN) The China Project, Reliable Statistics, pages 5-6
  6. (EN) The China Project, Income-related Disease Clusters, pages 7-9
  7. (EN) The China Project, Prostate Cancer, page 12-13
  8. a b c (EN) The China Project, Conclusion, pag. 17
  9. (EN) The China Project, Obesity, page 9
  10. a b (EN) The China Project, Blood Cholesterol, pages 9-10
  11. (EN) The China Project, Hearth Disease, page 10
  12. (EN) The China Project, Animal Protein: Red Alert!, page 13
  13. (EN) The China Project, Breast Cancer, pages 10-12
  14. (EN) The China Project, Colon Cancer, page 12
  15. (EN) The China Project, Liver Cancer, pages 13-14
  16. (EN) The China Project, Stomach Cancer, page 14
  17. (EN) The China Project, Antioxidants, page 15
  18. (EN) The China Project, Lung Cancer, page 15
  19. (EN) The China Project, Osteoporosis, pages 15-16
  20. (EN) The China Project, Iron-Deficient Anemia, page 16
  21. (EN) The China Project, PMS and Hot Flashes, pages 16-17
9)
CARNE: UN MALE PER LA SALUTE E L'AMBIENTE
Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal Open, le persone che avevano consumato minor quantità di prodotti a base di carne rossa e trasformati avevano ridotto rischio di malattie cardiache, diabete e cancro del colon-retto, rispetto a coloro che ne consumano di più. Uomini e donne che hanno consumato la minor quantità di prodotti a base di carne rossa e trasformati avevano rispettivamente, un - 9,7 e 6,4 per cento di rischio ridotto di malattie cardiache, - 12,0 e 7,5 per cento di rischio ridotto di diabete, - 12,2 e 7,7 per cento di rischio ridotto per il cancro del colon-retto.
I ricercatori hanno usato i dati del British National Diet and Nutrition Survey (sondaggi) valutando le diete di 1.724 adulti nel Regno Unito.
Gli autori inoltre hanno osservato che coloro i quali hanno consumato la minor quantità di carne rossa e trasformata, hanno utilizzato 0,45 tonnellate in meno di emissioni di anidride carbonica per anno, rispetto a quelli che ne hanno consumato di più.I prodotti a base di carne rossa e trasformati sono uno dei fattori più negativi delle emissioni di gas a effetto serra.

FONTE:
Aston LM, Smith JN, Powles JW. Impact of a reduced red and processed meat dietary pattern on disease risks and greenhouse gas emissions in the UK: a modelling study. BMJ Open. 2012.
LINK:
http://bmjopen.bmj.com/content/2/5/e001072.full

10)
PIU' MAGRI DA VEGETARIANI
Studi osservazionali suggeriscono che una dieta a base di vegetali è inversamente proporzionale all'indice di massa corporea (BMI), il sovrappeso e l'obesità.Essere obesi vuol dire ridurre la propria aspettativa di vita di 10-20 anni. Sostituire i prodotti di origine animale con quelli di origine vegetale contribuisce in maniera significativa al controllo del peso corporeo entro i range di normalità.
FONTI:
- Murtaugh MA, Herrick JS, Sweeney C, Baumgartner KB, Guiliano AR, Byers T, Slattery ML, Diet composition and risk of overweight and obesity in women living in the southwestern United States, J Am Diet Assoc. 2007 Aug;107(8):1311-21.
- Newby PK, Tucker KL, Wolk A, Risk of overweight and obesity among semivegetarian, lactovegetarian, and vegan women, Am J Clin Nutr. 2005 Jun;81(6):1267-74.
LINK:
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17659896
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15941875

11)
Nonostante i benefici di una dieta a base vegetale, spesso ci si domanda se i vegetariani possano essere a rischio di carenza di ferro, in particolare le donne. In questo studio australiano le donne vegetariane avevano assunzioni significativamente più basse di proteine, grassi saturi e colesterolo e significativamente più alte di fibra alimentare e vitamina C rispetto alle donne onnivore. Le concentrazioni di ferritina sierica sono risultate inferiori nei vegetariani rispetto agli onnivori, tuttavia non vi era differenza di incidenza di anemia.
Altri studi non hanno rilevato un aumento dei casi di anemia in chi seguiva una dieta vegetariana e vegana.

FONTI:
- Madeleine J Ball and Melinda A Bartlett, Dietary intake and iron status of Australian vegetarian women, Am J Clin Nutr September 1999vol. 70 no. 3 353-358
- Anderson BM, Gibson RS, Sabry JH, The iron and zinc status of long-term vegetarian women, Am J Clin Nutr. 1981 Jun;34(6):1042-8.
- Janet R Hunt, Bioavailability of iron, zinc, and other trace minerals from vegetarian diets, Am J Clin Nutr September 2003vol. 78 no. 3 633S-639S
LINK:
- http://ajcn.nutrition.org/content/70/3/353.abstract?sid=44e1f27b-bfc0-4ab4-a69e-862d2c7c8cb4
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7234735
- http://ajcn.nutrition.org/content/78/3/633S.long

12)
In questa recensione, vengono presentati i contributi alla scienza della nutrizione da parte dei popoli nativi dell'America Latina (Maya, indiani Tarahumara del Messico, indiani Yanomami, Indiani Pima dell'Arizona, popolazioni di Lima, del Cile, di San Paolo, di Espirito Santo in Brasile), apprezzati da un punto di vista storico. Inoltre, sono riportati studi epidemiologici e clinici in materia di diete a base vegetale e la loro relazione con la prevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolari condotte negli ultimi decenni.In queste popolazioni, le diete a base vegetale erano e sono associate a fattori di rischio più bassi nello sviluppo di diverse malattie croniche come malattia coronarica, ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemie, e sindrome metabolica.

FONTE: Julio C Acosta Navarro, Silvia M Cárdenas Prado, Pedro Acosta Cárdenas, Raul D Santos, Bruno Caramelli, Pre‐historic eating patterns in Latin America and protective effects of plant‐based diets on cardiovascular risk factors, Clinics (Sao Paulo). 2010 October; 65(10): 1049–1054.
LINK:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2972603/

13)
Questo studio, derivante dall'Adventist Health Study 2, ha dimostrato che tutte le varianti delle diete vegetariane (vegane, lacto-ovo, pescetariane e semi-vegetariane) sono state associate con un rischio notevolmente inferiore di diabete di tipo 2 e inferiore indice di massa corporea rispetto alle diete non-vegetariane. La protezione offerta dalle diete vegan e latto-ovo-vegetariane era più marcata.

FONTE: Serena Tonstad, Terry Butler, Ru Yan, and Gary E. Fraser, Type of Vegetarian Diet, Body Weight, and Prevalence of Type 2 Diabetes, Diabetes Care. 2009 May; 32(5): 791–796.
LINK:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2671114/

14)
Una ricerca medico-scientifica condotta su oltre 19.000 persone, alla fine del 2010 in Gran Bretagna e i cui risultati sono stati resi noti in un articolo sull'American Journal of Clinical Nutrition, rileva che l’assunzione di omega 3 è più efficiente se questi provengono dai vegetali.Questo dato è incidentalmente confermato da un altro studio fatto su pesci nutriti in modo vegetariano, di cui parleremo a fine di questo articolo.
Tornando allo studio apparso sull’American Journal of Clinical Nutrition, si è visto che vegetariani e vegani provvederebbero autonomamente alle proprie necessità di acidi grassi essenziali omega-3 a lunga catena (presenti nel pesce) ricavandoli dagli acidi grassi omega-3 vegetali, quindi senza dover introdurre nella propria dieta la carne di pesce. Tali grassi sono importanti per il buon funzionamento dei meccanismi metabolici.
E' già noto da tempo come gli omega-3 si possano ricavare molto più facilmente da fonti vegetali, come noci, semi di lino e olio di semi di lino, piuttosto che dal pesce (che ne contiene decisamente meno di quanto si crede, poiché gli omega 3 diminuiscono a seconda il tipo di cottura), ma questo nuovo studio rende ancora più evidente come la fonte privilegiata di questi acidi grassi essenziali sia proprio quella vegetale.
Il Dr Welch e la sua equipe hanno analizzato dapprima 14.422 uomini e donne dai 39 ai 78 anni all'interno dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) e successivamente hanno selezionato 4.902 soggetti nei quali erano stati misurati i livelli plasmatici dei PUFAs (polyunsantured fatty acids: acidi polinsaturi, cioè omega-3 e omega-6).
L'acido alfa-linolenico ALA (precursore degli acidi grassi omega-3 a lunga catena) una volta introdotto nel nostro organismo con l'alimentazione, viene metabolizzato e trasformato in EPA e DHA, entrambi votati a alle fondamentali funzioni organiche quali la formazione delle membrane cellulari, lo sviluppo e il funzionamento del cervello e del sistema nervoso periferico, la produzione di eicosanoidi che regolano la pressione arteriosa, la risposta immunitaria ed infiammatoria.
Lo studio ha mostrato come, a fronte di una minore introduzione di omega-3 attraverso la dieta tipica dei vegetariani/vegani, se paragonata a chi consuma pesce in quantità (con una percentuale che va dal 57% all'80 % di differenza), i livelli di EPA e DHA sono risultati essere pressoché uguali nei due gruppi di campioni studiati.
Ci sarebbe dunque - spiegano i ricercatori - una "efficienza di conversione" in acidi grassi omega-3 a lunga catena significativamente maggiore nei vegetariani/vegani rispetto a coloro che consumano pesce.
L'EPIC rappresenta il più vasto studio di popolazione condotto sui livelli di ALA e sulla conversione in EPA e DHA e, se questi risultati saranno supportati da ulteriori studi, cambieranno le raccomandazioni per la Salute pubblica.

FONTE:
Ailsa A Welch, Subodha Shakya-Shrestha, Marleen AH Lentjes, Nicholas J Wareham, Kay-Tee Khaw, "Dietary intake and status of n-3 polyunsaturated fatty acids in a population of fish-eating and non-fish-eating meat-eaters, vegetarians, and vegans and the precursor-product ratio of alpha-linolenic acid to long-chain n-3 polyunsaturated fatty acids: results from the EPIC-Norfolk cohort", American Journal of Clinical Nutrition November 2010, Volume 92, Number 5, Pages 1040-1051, doi:10.3945/ajcn.2010.29457
LINK:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20861171

Un secondo studio correlato fatto su pesci nutrititi in modo vegetariano.

Casualmente, i risultati del primo studio su citato (L’assunzione di omega 3 è più efficiente se questi provengono dai vegetali) sono clamorosamente confermati confrontandoli con un altro studio ( purtroppo cruento ), sostenuto dai ricercatori del progetto europeo 'Aquamax'.I ricercatori si proponevano di studiare i benefici nutrizionali dei pesci allevati in modo vegetariano, cioè con una dieta che sostituisce alcuni degli ingredienti marini con verdure.Sessantadue donne incinte hanno consumato due volte a settimana il salmone nutrito con vegetali; un gruppo di controllo di 62 donne incinte ha consumato la stessa quantità di pesce come avrebbero fatto normalmente, cioè come una piccola parte della propria dieta generale.Nel gruppo che ha mangiato i filetti di salmone di prova, i livelli di omega-3 erano elevati sia nella madre che nel bambino anche se questi salmoni di prova avevano ricevuto meno omega-3 attraverso il mangime che si basava principalmente su ingredienti vegetali. La carne del salmone conteneva lo stesso un'eccellente fonte dei salutari acidi grassi.
FONTE: http://www.societavegetariana.org/site/uploads/5fe32d03-e3b8-89b4.pdf

15)
7 PORZIONI DI FRUTTA E VERDURA AL GIORNO PER ESSERE FELICIMangiare tanta frutta e verdura è sempre uno dei consigli più sottolineati da medici e dietologi. E’ infatti stato appurato che questo cibo può davvero aiutare il nostro corpo (ma anche la nostra mente) a sentirsi più forte e sano. Ecco infatti, direttamente dalla Gran Bretagna, una novità che farà felici i vegetariani e i vegani: secondo uno studio dell’Università di Warwick in collaborazione con l’US Dartmouth College, effettuato su 80mila inglesi, si è scoperto che le persone con un numero maggiore di pasti a base di frutta e verdura raggiungono un più elevato livello di benessere, o meglio di felicità generale come lo hanno definito gli studiosi. Tutto ciò è dovuto al consumo di almeno sette porzioni di frutta e verdura al giorno. Gli studiosi, per bocca del professor Andrew Oswald del “Centre for Competitive Advantage in the Global Economy ” hanno dichiarato di essere particolarmente stupiti del risultato: “Questo studio mostra risultati a dir poco sorprendenti e che ci hanno sbalordito quando li abbiamo analizzati, anche se non è ancora chiaro come si attui questo processo di generale benessere dell’organismo o se abbia qualcosa a che fare con la biochimica. Sappiamo infatti che frutta e verdura contengono molti antiossidanti, ma non abbiamo idea di come questi possano eventualmente agire sulla nostra mente e sulle nostre emozioni.” Via libera quindi al consumo di sette piccole porzioni di frutta e verdura al giorno per stare bene: basta introdurre la frutta a colazione, metà mattina e merenda, e la verdura nei pasti principali. Così potremo verificare se il nostro umore migliora davvero oppure no.

FONTE:
David G. Blanchflower, Andrew J. Oswald, Sarah Stewart-Brown, Is Psychological Well-being Linked to the Consumption of Fruit and Vegetables?, 2012
LINK:
http://www.nber.org/papers/w18469

16)
STUDIO PILOTA SUL BENESSERE PSICOLOGICO DEI VEGETARIANIDa una ricerca condotta dalla Benedictine University (sezione Dipartimento di Nutrizione) e dall’Arizona State University pubblicata sul ‘Nutrition Journal’ emergono dati interessanti che sorridono ancora una volta alla dieta veg.

In questo studio pilota 39 volontari maschi e femmine maggiorenni onnivori sono stati assegnati casualmente a tre diversi condizioni: un gruppo ha continuato a seguire un regime alimentare onnivoro, un altro gruppo ha adottato uno stile alimentare vegetariano con l’aggiunta di pesce 4 volte a settimana, mentre il terzo gruppo ha seguito una dieta essenzialmente vegetariana.

Durante le due settimane dello studio, i volontari sono stati sottoposti ad analisi mediche per verificare i livelli di acidi grassi essenziali, omega 3 (EPA e DHA) e omega 6 come l’acido arachidonico (AA) e a questionari per verificare gli stati d’umore.

Partendo dal presupposto per cui una dieta onnivora tenda ad essere associata a livelli elevati di AA rispetto a quelli presenti in chi segue una dieta vegetariana e visto che le ricerche evidenziano come alti livelli di AA possano determinare cambiamenti nell’umore, attraverso i risultati dello studio pilota si è dimostrato come alla presenza di minori livelli di acidi AA nei veg sia associato anche un miglioramento del tono dell’umore ed una percezione di benessere psicologico.

Insomma, per quanto si tratti ancora di studi esplorativi, sembra che una dieta cruelty-free possa rivelarsi un toccasana non solo per il corpo ma anche per la mente.

FONTE: Bonnie L Beezhold and Carol S Johnston, Restriction of meat, fish, and poultry in omnivores improves mood: A pilot randomized controlled trial
LINK:
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CDIQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.nutritionj.com%2Fcontent%2Fpdf%2F1475-2891-11-9.pdf&ei=497uUNG4G4WLtAa29oCACA&usg=AFQjCNHvdo8LRFQoZRBx-tusVkhWPoI3gw&bvm=bv.1357700187%2Cd.Yms

17)
NESSUN RISCHIO PER LE OSSA DEI VEGANI
In Occidente, ci sono numeri notevoli di persone che sono classificate come "vegetariane" (che escludono carne e pesce) o "vegane" (che escludono tutti gli alimenti di origine animale). Allo stesso tempo, vi è stato un notevole interesse per quanto riguarda i benefici e gli effetti avversi per la salute di tali modelli alimentari.

Dal punto di vista nutrizionale salute pubblica, è fondamentale affrontare se aderire a particolari abitudini alimentari pone un individuo ad un rischio aumentato o diminuito del decorso della malattia. Dato che siamo in presenza di una epidemia di osteoporosi, abbiamo bisogno di prove definitive su quali fattori esogeni possano migliorare significativamente (o danneggiare) la salute delle ossa nella popolazione ( 1 ).

In questo studio pubblicato nel 2009 sull'American Journal of Clinical Nutrition, il dottor Ho-Pham e altri ricercatori ( 2 ) riportano i risultati di una meta-analisi bayesiana che esamina l'effetto delle diete vegetariane sulla densità minerale ossea. I risultati hanno incluso 2.749 individui (rapporto tra femmine e maschi: 2:1) e ha dimostrato che, nel complesso, la densità ossea è stata inferiore nei soggetti che hanno aderito a una dieta vegetariana / vegana rispetto a coloro che consumano una dieta onnivora, ma ad un livello che è improbabile che sia clinicamente rilevante.

I punti di forza di questo studio sono l'attenta selezione di ricerche per l'inclusione nell'analisi e la rigorosa metodologia di meta-analisi di tipo bayesiano. Ciò detto, questo studio non fornisce le prove "conclusive" che richiedono specialisti della salute pubblica.

In effetti, molti degli studi sul vegetarismo e salute delle ossa pubblicati prima del 1984 (non inclusi in questa meta-analisi) si basavano su Avventisti del Settimo Giorno che avevano uno stile di vita molto diverso rispetto a chi segue una dieta onnivora ( 3 ). In questa meta-analisi bayesiana, in più del 50% degli articoli inclusi, il peso corporeo è risultato significativamente più basso nel gruppo vegetariano rispetto al gruppo onnivoro, ed è ben noto che il peso corporeo è un fattore determinante della densità minerale ossea. È anche importante sottolineare che, nell'articolo di Ellis (1972), che è citato nello studio, ma non incluso nell'analisi, vi era un errore fondamentale nella interpretazione delle misure di densità fotografiche, e le loro conclusioni avrebbe dovuto essere il contrario di quello che ha sostenuto ( 4-7 ).

L'effetto di una dieta vegetariana è estremamente complessa (un punto sottolineato dagli autori) e comprende le differenze di 1 ) i componenti nutrizionali della dieta2 ) fattori di stile di vita, 3 ) le concentrazioni sieriche di estrogeni 4 ) problemi con i metodi che sono a disposizione dei ricercatori per valutare con precisione i nutrienti dei prodotti alimentari di consumo nei gruppi di popolazione.Questa meta-analisi, naturalmente, non ci fornisce tutte le informazioni sui meccanismi di azione. Storicamente, le teorie principali che collegano vegetarianismo allo scheletro sono concentrate sulla presenza di un legame tra omeostasi ACIDO-BASE e lo scheletro e sul presupposto che l'ingestione prolungata di una dieta a base vegetale creerebbe ALCALI (ceneri) e quindi possa essere di beneficio per la salute delle ossa. Considerazioni teoriche del ruolo svolto da minerali alcalini nella difesa dell'organismo contro l'ACIDOSI sono datate fin dal tardo 19 ° secolo, e il lavoro pionieristico di Lemann, Barzel, e Sebastian negli ultimi 30 anni hanno mostrato gli effetti dell' "acido" proveniente dalla dieta, sulle ossa nell'uomo e negli animali ( 8 ). Il lavoro di Arnett e Dempster ( 9 ) e Bushinsky ( 10 ) mostra gli effetti negativi dell'acido sul minerale osseo. E 'impossibile in questa meta-analisi bayesiana risolvere appieno quanto sia importante apporto dietetico sulle conclusioni, perché 2 degli studi non hanno segnalato in dettaglio le assunzioni giornaliere di soggetti. In particolare, sarebbe utile esaminare il rapporto tra proteine e assunzione di potassio totale nel gruppo vegetarianio/ onnivora, questo ci darebbe un'idea della rete di produzione endogena di acido noncarbonic (NEAP), che è importante a causa della crescente consapevolezza del legame tra elevato NEAP (vale a dire, alta acidità alimentare) e più bassi indici di salute delle ossa ( 11 ). Sarebbe anche molto utile per avere informazioni sull'effetto di altri costituenti alimentari che possono essere diversi nei gruppi, compresi i fitoestrogeni e le concentrazioni di vitamina K, nonché il grado di insufficienza di vitamina D ( 12 ).

Sulla base dei risultati di questa meta-analisi bayesiana e delle conclusioni dello studio prospettico di cinque anni sulle variazioni di densità ossea radiale in pazienti anziane bianche americane (che non ha mostrato differenze nei tassi di perdita di massa ossea tra vegetariani e onnivori) ( 13 ), si può concludere che il vegetarismo non è un serio fattore di rischio per frattura da osteoporosi. La ricerca futura dovrebbe concentrare l'attenzione sul fatto che vi siano o meno particolari componenti di una dieta vegetariana / vegana (ad esempio, una maggiore assunzione di frutta e verdura), che offrirebbero vantaggi specifici per lo scheletro, compresa la determinazione delle concentrazioni specifiche che sarebbero richieste per la massima salute delle ossa, e quali sono i meccanismi che influenzano la salute generale delle ossa.

FONTI DELLA PUBBLICAZIONE: 1.World Health Organization. Study Group on Assessment of Fracture Risk and Its Application to Screening and Postmenopausal Osteoporosis. Report of a WHO Study Group. World Health Organ Tech Rep Ser 1994.
2.Ho-Pham LT, Nguyen ND, Nguyen TV. Effect of vegetarian diets on bone mineral density: a Bayesian meta-analysis. Am J Clin Nutr 2009;90:943–50.
3.Marsh AG, Sanchez TV, Chaffee FL, Mayor GH, Michelsen O. Bone mineral mass in adult lactoovovegetarian and omnivorous males. Am J Clin Nutr 1983;83:155–62.
4.Ellis FR, Holesh S, Sanders TA. Osteoporosis in British vegetarians and omnivores. Am J Clin Nutr 1974;24:769–70.
5. Meema HE. Photographic density versus bone density. Am J Clin Nutr 1973;26:687 (letter).
6. Meema HE. What's good for the heart is not good for the bones? J Bone Miner Res 1996;11:704 (letter).
7.Barzel US. Ne'ertheless, an acidogenic diet may impair bone. J Bone Miner Res 1996;11:704 (letter).
8.New SA. The role of the skeleton in acid-base homeostasis. The 2001 Nutrition Society Medal Lecture. Proc Nutr Soc 2002;61:151–64.
9.Arnett TR, Dempster DW. Effect of pH on bone resorption by rat osteoclasts in vitro. Endocrinology 1986;119:11924.
10.Bushinsky DA, Lam BC, Nespeca R, Sessler NE, Grynpas MD. Decreased bone carbonate content in response to metabolic, but not respiratory, acidosis. Am J Physiol Renal Fluid Electrolyte Physiol. 1993;265:F530–6.
11.Frassetto L, Todd K, Morris RC Jr., Sebastian A. Estimation of net endogenous noncarbonic acid production in humans from dietary protein and potassium contents. Am J Clin Nutr 1998;68:576–83.
12.Outila TA, Karkkainen MUM, Seppaene RH, Lamberg-Allardt CJE. Dietary intake of vitamin D in premenopausal, healthy vegans was insufficient to maintain concentrations of serum 25-hydroxyvitamin D and intact parathyroid hormone within normal ranges during the winter in Finland. J Am Diet Assoc 2000;100:434–41.
13.Reed JA, Anderson JBB, Tylavsky FA, Gallagher PN Jr.. Comparative changes in radial bone density of elderly female lactoovovegetarians and omnivores. Am J Clin Nutr 1994;59:1197S–202S.

PUBBLICAZIONE:
Susan A Lanham-New, Is “vegetarianism” a serious risk factor for osteoporotic fracture?, Am J Clin Nutr October 2009 vol. 90 no. 4 910-911LINK: http://ajcn.nutrition.org/content/90/4/910.full

18)
DIABETE E DIETA A BASE VEGETALE
I grassi e le proteine animali sono state correlate ad un aumentato rischio di diabete. Le popolazioni che seguono un'alimentazione ricca di cibi di origine animale presentano i più alti livelli di colesterolo, che a sua volta è associato intimamente al tasso di diabete[1]. Negli studi alimentari condotti sugli Avventisti, i vegetariani avevano un tasso di diabete pari a circa la metà rispetto ai mangiatori di carne[2]. In uno studio, i diabetici di tipo 2, grazie a tre settimane di dieta totalmente vegetale, hanno potuto sospendere le cure a base di insulina. I diabetici di tipo 1 sono stati in grado di ridurre l'assunzione di insulina del 40% in media[3]. Un altro studio ha ottenuto risultati altrettanto spettacolari[4]. Su quaranta pazienti in cura all'inizio del programma, trentaquattro hanno potuto sospendere del tutto l'assunzione di farmaci dopo soli ventisei giorni.I benefici di un'alimentazione vegetariana tendono a durare per anni se si continua a seguire questa dieta[5]
FONTI:
[1] West KM, and Kalbfleisch JM. "Influence of nutritional factors on prevalence of diabetes." Diabetes 20 (1971): 99–108.
[2] Snowdon DA, and Phillips RL. "Does a vegetarian diet reduce the occurrence of diabetes?"Am. J. Publ. Health 75 (1985): 507–512.
[3] Anderson JW. "Dietary fiber in nutrition management of diabetes." In: G. Vahouny, V. and D.Kritchevsky (eds.), Dietary Fiber: Basic and Clinical Aspects, pp. 343–360. New York: PlenumPress, 1986.
[4] Barnard RJ, Lattimore L, Holly RG, et al. "Response of non-insulin-dependent diabetic patients to an intensive program of diet and exercise." Diabetes Care 5 (1982): 370–374.
[5] Barnard RJ, Massey MR, Cherny S, et al. "Long-term use of a high-complex-carbohydrate,high-fiber, low-fat diet and exercise in the treatment of NIDDM patients." Diabetes Care 6 (1983): 268–273.

19)
Le proteine animali, a differenza di quelle vegetali, contengono un maggior numero di aminoacidi solforati, ossia contenenti zolfo (metionina e cisteina). Tali aminoacidi, quando vengono digeriti e metabolizzati, producono acido solforico. Quindi aumentano il carico acido nell'organismo[1][2], il che significa che il nostro sangue e i nostri tessuti diventano più acidi. L'organismo non gradisce questo ambiente acido e inizia a combatterlo. Al fine di neutralizzare l'acido, il corpo utilizza dei sistemi tampone in cui entra a far parte il calcio, minerale basico, con conseguente perdita di esso dalle ossa e escrezione tramite le urine: il risultato è l'osteoporosi.In questo studio, pubblicato nel 2000, si è scoperto che un elevato consumo di proteine vegetali rispetto a quelle animali è associato ad una drastica riduzione dell'incidenza di fratture[3] (l'immagine raffigura l'associazione fra il consumo di proteine animali rispetto a quelle vegetali e i tassi di fratture ossee in diversi paesi. Più aumenta l'introito di proteine vegetali, minore è l'incidenza di frattura dell'anca).Un altra ricerca ha ottenuto risultati simili: dopo 7 anni di osservazioni, le donne con la proporzione più alta di proteine animali rispetto a quelle vegetali presentavano un numero di fratture ossee 3,7 volte maggiore rispetto alle donne con la proporzione più bassa. Inoltre, nelle donne con il rapporto più alto la perdita ossea è stata quattro volte più rapida rispetto a quelle con il rapporto più basso[4].

FONTI:
[1] Wachsman A, and Bernstein DS. "Diet and osteoporosis." Lancet May 4, 1968 (1968)
[2] Kerstetter JE, and Allen LH. "Dietary protein increases urinary calcium." J. Nutr. 120 (1990):134–136.
[3] Frassetto LA, Todd KM, Morris C, Jr., et al. "Worldwide incidence of hip fracture in elderly women: relation to consumption of animal and vegetable foods." J. Gerontology 55 (2000):M585–M592.
[4] Sellmeyer DE, Stone KL, Sebastian A, et al. "A high ratio of dietary animal to vegetable protein increases the rate of bone loss and the risk of fracture in postmenopausal women." Am.J. Clin. Nutr. 73 (2001): 118–122

20)
In questo studio viene dichiarato che "le diete vegetariane ben bilanciate sono in grado di sostenere la crescita e lo sviluppo normali. Si è concluso che la carne è un optional e non un costituente essenziale della dieta umana".

FONTE:
Sanders TA, The nutritional adequacy of plant-based diets, Proc Nutr Soc. 1999 May;58(2):265-9.
LINK:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10466165?dopt=Abstract

21)
Si sa che la cottura distrugge alcune sostanze nutritive e denatura enzimi importanti. La cottura crea anche composti mutageni e pro-infiammatori. Uno studio del 1930 ha dimostrato che il numero di globuli bianchi è aumentato dopo che la gente ha mangiato cibo che era stato cotto, ma non dopo aver mangiato lo stesso cibo crudo. Studi più recenti hanno rilevato che tra i soggetti assegnati ad una dieta vegan-crudista la conta dei globuli bianchi era diminuita.Lo scopo di questo studio era quello di valutare l'effetto di un soggiorno in un istituto vegan-crudista sulla qualità complessiva della vita, alimentare, e sui marcatori infiammatori e immunitari. La maggior parte dei partecipanti erano donne, e molti avevano storie di cancro.A 12 settimane dall'inizio delle misurazioni, i soggetti che avevano soggiornato nell'istituto vegan-crudista hanno riportato una migliorata qualità della vita, in particolare a livello mentale, l'ansia e lo stress. La diminuzione dei diversi tipi di linfociti (globuli bianchi) era coerente con i risultati di altri studi.

FONTE: Lilli B. Link, MD, MS, Najeeb S. Hussaini, MD, MS, and Judith S. Jacobson, Change in quality of life and immune markers after a stay at a raw vegan institute: a pilot study, 2008
LINK:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2486444/

22)
Nel Luglio 2009 è uscita la nuova versione della "Posizione Ufficiale" dell'American Dietetic Association (ADA) sulle "Diete Vegetariane". Si tratta di un aggiornamento della precedente posizione del 2003. L'ADA è la principale organizzazione dei professionisti dell’alimentazione e della nutrizione degli Stati Uniti ed è una tra le più autorevoli al mondo. Una posizione, la sua, non ideologica ma basata sull’attenta valutazione degli ormai numerosissimi studi scientifici che testimoniano la validità della dieta vegetariana in ogni fase della vita.Rispetto al precedente "position paper", l'attuale riafferma l'adeguatezza nutrizionale delle diete vegetariane in tutti gli stadi del ciclo vitale, e fornisce una ancora maggiore evidenza della validità di questo tipo di alimentazione nella prevenzione e nel trattamento delle più importanti malattie croniche. Le differenze sostanziali sono nel differente approccio alla letteratura, che porta a delle conclusioni "quantificabili" in termini di evidenza. Questo è possibile anche perché in quei sei anni sono usciti nuovi lavori che ovviamente sono stati presi in considerazione nel nuovo position paper e che non c'erano nel precedente.

L'affermazione di apertura di questo importante documento recita:

"E' posizione dell'American Dietetic Association che le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegetariane o vegane, sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale, e possono conferire benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Le diete vegetariane ben pianificate sono appropriate per individui in tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidanza, allattamento, prima e seconda infanzia e adolescenza, e per gli atleti. [...] I risultati di una rassegna basata sull'evidenza hanno mostrato che la dieta vegetariana è associata a una riduzione del rischio di morte per cardiopatia ischemica. I vegetariani evidenziano, inoltre, livelli inferiori di colesterolo legato alle lipoproteine LDL e di pressione arteriosa, nonché ridotti tassi di ipertensione e di diabete mellito di tipo 2 rispetto ai non-vegetariani. I vegetariani tendono ad avere un ridotto indice di massa corporea (BMI) e ridotti tassi di tutti i tipi di cancro. Le caratteristiche di una dieta vegetariana che possono ridurre il rischio di malattie croniche includono ridotte assunzioni di acidi grassi saturi e colesterolo, e più elevate assunzioni di frutta, verdura, cereali.

FONTE : Scienza & Veg salute http://www.facebook.com/ScienzaVegSalute#!/ScienzaVegSalute

martedì 11 settembre 2012

Dicono che il latte "fa bene alle ossa

Il latte è un usuraio della peggior specie, quegli usurai che vi fanno un prestito ma poi, se non gli ridate tutto con gli interessi impossibili, vi mandano picchiatori a spaccarvi le ossa.
Il latte contiene calcio, utile alle ossa, e per questo viene consigliato, ampiamente consigliato, per l'osteoporosi. Ma contiene anche proteine animali, acide, che, per essere smaltite, consumano calcio.
Come un usuraio, il latte presta un po' di calcio, ma, alla fine, ne consuma più di quello che dà. Le proteine del latte, sommate a quelle provenienti da carne e pesce, costringono l'organismo a sottrarre calcio all'osso per poter provvedere al loro smaltimento.
Infatti, la salute dell'osso dipende molto più da quei fattori che impediscono le perdite di calcio dall'organismo che dalla semplice quantità di calcio assunta. Quasi tutto il calcio dell'organismo è contenuto nello scheletro, che è la banca del calcio. Il calcio viene perso continuamente attraverso le urine, le feci e il sudore, e queste perdite vengono reintegrate attingendo ai depositi di calcio nell'osso, che cede quindi calcio in continuazione. Il calcio immagazzinato nell'osso viene poi reintegrato con quello alimentare.
Esiste dunque quello che viene chiamato "bilancio del calcio": bisogna che il calcio assunto con la dieta sia maggiore di quello perso, altrimenti il bilancio è negativo, e si va incontro all'osteoporosi.
In generale, nelle popolazioni che consumano molto latte l'incidenza di osteoporosi è maggiore, mentre è rara nei paesi dove non si beve latte. É noto che tra gli esquimesi, che assumono oltre 2.000 mg di calcio al giorno, l'osteoporosi dilaga.
Vari studi, tra i quali l'Harvard Nurses' Health Study, che ha seguito clinicamente oltre 75.000 donne per dodici anni, mostrano che l'aumentato consumo di latticini è associato con un rischio di fratture più elevato.
Il latte, dunque, è si' l'alimento ideale, ma solo per il lattante, e solo il latte umano! Di seguito sono elencati alcuni problemi correlati al consumo di latte in adulti e bambini.
  • Carenza di ferro: il latte ha un bassissimo contenuto di ferro (0.2 mg/100 mg di latte), e per riuscire a raggiungere la dose di ferro raccomandata di 15 mg al giorno, un bambino dovrebbe bere 7.5 litri di latte. In aggiunta, il latte è responsabile di perdite di sangue dal tratto intestinale, che contribuiscono a ridurre i depositi di ferro dell'organismo.
  • Diabete Mellito: su 142 bambini diabetici presi in esame in uno studio, il 100% presentava nel sangue livelli elevati di un anticorpo contro una proteina del latte vaccino. Si ritiene che questi anticorpi siano gli stessi che distruggono anche le cellule pancreatiche produttrici di insulina.
  • Calcio: la verdura a foglia verde, come la cicoria, la rucola, il radicchio e la bieta, è una fonte di calcio altrettanto valida, se non addirittura migliore, del latte.
  • Contenuto di grassi: ad eccezione del latte scremato, il latte e i prodotti di sua derivazione sono ricchi di grassi saturi e colesterolo, che favoriscono l'insorgenza di arteriosclerosi.
  • Contaminanti: il latte viene frequentemente contaminato con antibiotici, ormoni della crescita, oltre che con gli erbicidi e i pesticidi veicolati dal foraggio. Inoltre i trattamenti di sterilizzazione permettono in realtà la sopravvivenza nel latte di germi, e la Direttiva Europea 92/46/CE stabilisce un limite non superiore ai 100 mila germi per mL. La stessa Direttiva ammette anche un contenuto non superiore a 400 mila per mL di "cellule somatiche", il cui nome comune è "pus".
  • Lattosio: molti soggetti di asiatici o africani sono incapaci di digerire lo zucchero del latte, il lattosio, con conseguenti coliche addominali, gas e diarrea. Il lattosio, poi, se viene digerito, libera il galattosio, un monosaccaride che è stato messo in relazione con il tumore dell'ovaio.
  • Allergie: il latte è uno dei maggiori responsabili di allergie alimentari: durante la sua digestione, vengono rilasciati oltre 100 antigeni (sostanze che innescano le allergie). Spesso i sintomi sono subdoli e non vengono attribuiti direttamente al consumo di latte, ma molte persone affette da asma, rinite allergica, artrite reumatoide, migliorano smettendo di assumere latticini.
  • Coliche del lattante: le proteine del latte causano coliche addominali, un problema che affligge un lattante su cinque, perché se la madre assume latticini, le proteine del latte vaccino passano nel latte materno. In 1/3 dei lattanti al seno affetti da coliche, i sintomi sono scomparsi
  • dopo che la madre ha smesso di assumere questi cibi. 
  • Confronto tra latte animale e umano

    In natura, il Latte (prodotto di secrezione delle ghiandole mammarie dei Mammiferi dopo il parto) è l'alimento previsto per la crescita dei cuccioli dei Mammiferi, ed il Latte di ogni specie va ad esclusivo beneficio di quella specie; questo è evidente dalla diversa composizione dei vari tipi di Latte, come vedremo in seguito.
    Sebbene nei Mammiferi l'allattamento dei cuccioli sia la manifestazione di un legame madre-figlio che va ben oltre il semplice aspetto fisiologico di nutrimento, in questa sede parleremo del Latte solamente per quanto concerne le sue proprietà nutrizionali.
    Il Latte di tutti i Mammiferi contiene, disciolti in Acqua, Zuccheri (Lattosio), Proteine, Grassi, Vitamine ed Enzimi, oltre agli Anticorpi propri della specie di appartenenza, ma la composizione del Latte differisce tra le varie specie di Mammiferi, come evidenziato dalla Tabella.
    Queste differenze di composizione sono veramente enormi. Si va dal Latte di focena che contiene solo il 40% di Acqua, al Latte di cavalla che ne contiene il 90%. Mentre il Latte di cavalla ha soltanto l'1.5 % di Grassi, il Latte di focena ne contiene il 46 %. La cavalla produce un Latte più ricco di Lattosio di quello dei cetacei, mentre il Latte di coniglio è il più ricco di tutti in Proteine e Sali Minerali, e così via.
    Qual è la logica che sottende a queste differenze? Le più recenti Ricerche trovano una giustificazione nel rapporto madre-figlio, inquadrandolo in un grande schema nel quale possono venir distinti due gruppi di Mammiferi.
    A un estremo si collocano i Primati, nei quali il neonato è completamente dipendente dalla madre ed in continuo contatto. Il Latte di queste specie è relativamente acquoso e scarso di Grasso e di Proteine, ed il cucciolo, sempre attaccato alla madre, poppa molto frequentemente, ingerendo ogni volta piccole quantità di Latte. Avendo una alimentazione continua, il piccolo non ha bisogno di riserve.
    All'estremo opposto vi sono tutti gli altri Mammiferi che dopo il parto nascondono i neonati in nidi o tane e che passano gran parte del tempo a procurarsi il cibo, rientrando soltanto ad intervalli. In questa situazione l'allattamento è intermittente e quindi il neonato ha bisogno di un Latte molto sostanzioso (poco acquoso) e da digerire lentamente (molto grasso); inoltre in queste specie il piccolo poppa in modo rapido e si sazia in pochi minuti. Anche i cuccioli dei Mammiferi marini necessitano di un Latte con queste caratteristiche, a causa dell'ambiente freddo, dei contatti tra madre e figlio che non sono sempre facili, e della necessità di poppare in modo rapido (perchè sott'acqua, in apnea).
    COMPOSIZIONE DEL LATTE DI DIVERSI MAMMIFERI (per 100 gr.)
    LatteProteine grammiLattosio grammiGrasso grammiAcqua grammi
    Donna0,97,23,588
    Cavalla2,25,91,590
    Asina1,56,21,590
    Mucca3,64,93,587
    Capra44,54,386
    Pecora64,57,581
    Bufala4,84,77,582
    Scrofa65,4682
    Gatta95580
    Cane1031075
    Ratto82,610,379
    Coniglio13,51,81270
    Focena121,34640
    Balena100,83554
    Il Latte specie-specifico contiene non solo tutti i Nutrienti nelle proporzioni ottimali per la crescita, ma anche sostanze Enzimatiche ed Anticorpi che hanno la funzione di aumentare le difese immunitarie in un periodo della vita in cui un'infezione potrebbe avere conseguenze gravissime.
    Dopo lo svezzamento, però, nessun Mammifero continua a bere Latte, che non è cibo adatto ai bambini ed agli adulti; neppure quello della propria specie, perchè le esigenze nutrizionali dell'adulto sono differenti da quelle del lattante. Il piccolo Mammifero diviene in grado di vivere cibandosi degli alimenti per cui la specie è biologicamente adatta. Inoltre, nessun Mammifero tranne l'Uomo consuma, in nessuna epoca della vita, il Latte di un'altra specie.
    Nel caso dell'uomo, invece, il consumo di Latte di altre specie, di mucca in particolare, sin dai primissimi anni di vita è considerato fisiologico e raccomandabile, nonostante il Latte vaccino - previsto per la crescita del vitello - sia molto diverso per composizione rispetto al Latte di donna perché:
    • contiene troppe Proteine: 36 gr/litro contro 9 gr/litro, - quattro volte di più;
    • contiene Proteine molto diverse: rapporto Caseina/Lattoproteine 4.5:1 contro 0.4:1
    • contiene poco Lattosio: 49 gr/litro contro 70 gr/litro;
    • presenta un rapporto Grassi Saturi/Insaturi svantaggioso;
    • contiene una percentuale di Calcio troppo elevata: 1170 mg/litro contro 340 mg/litro;
    • presenta un rapporto Calcio/Fosforo svantaggioso: 1.3:1 (Latte vaccino) contro 2.4:1 (Latte umano);
    • contiene troppi Sali Minerali: 7 gr/litro contro 2 gr/litro.
    Dunque, ad ogni Mammifero il proprio Latte, ed a questa regola deve adeguarsi anche l'Uomo.   
(tratto da "Impariamo a mangiare sano con i cibi vegetali", SSNV©2005)

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